Un terribile e sconvolgente attacco informatico mette in ginocchio gli USA, chiamati a rispondere all’attacco terroristico con tutte le armi a propria disposizione: le premesse di Zero Day, miniserie Netflix con Robert De Niro, rivelano tutte le velleità di una produzione decisa a ispirare riflessioni politiche e sociali a proposito di minacce, sempre più riconoscibili e concrete, nei confronti di un sistema democratico ormai dato quasi per scontato.
Diretta da Lesli Linka Glatter, l’opera racconta una vicenda di fantasia che inquieta per la vicinanza al mondo reale, estremamente dipendente da infrastrutture virtualmente impossibili da controllare e preda di istinti popolari e istituzionali che fanno tornare alla mente gli anni bui della prima metà del secolo scorso.
Una serie, Zero Day, a cui di certo non manca il coraggio e che, sebbene penalizzata dallo scarso approfondimento riservato ad alcuni archi narrativi, riesce a intrattenere a tenere sulle corde lo spettatore fino agli ultimi istanti del racconto.
Dopo aver approfondito il finale e il tema centrale di Zero Day, torniamo dunque a occuparci dello show per condividere la nostra opinione a riguardo cercando di analizzare tanto gli aspetti tecnici quanto quelli relativi alle problematiche trattate.

La sinossi di Zero Day
Un hackeraggio a tutti i sistemi e dispositivi digitali delle infrastrutture e della popolazione degli USA causa un blackout assoluto della durata di un minuto: la brevità dell’attacco non evita gravissime ripercussioni dal punto di vista delle vite spezzate e dei danni alla società e costringe a riflettere sulle possibili conseguenze di un’azione prolungata.
La minaccia degli attentatori è chiara: “Succederà di nuovo”.
George Mullen, ex presidente degli Stati Uniti, viene incaricato di dirigere una speciale commissione atta a indagare sui fatti e a scoprire i colpevoli dell’atto terroristico dovendo, allo stesso tempo, affrontare opposizioni politiche, sociali ed economiche, intente a ostacolare la scoperta e la condivisione della verità.
In un crescendo di tensione in cui si riveleranno tutte le fragilità e le vulnerabilità di una nazione che fatica a rivendicare una precisa identità e una coesione di fondo, il protagonista dovrà fare del suo meglio per combattere demoni interiori ed esterni e salvare il proprio paese dai pericoli che incombono sula sua solidità.

Di attacchi informatici, diritti civili, teorie del complotto e derive totalitarie
Zero Day si prefigge, nella sua struttura fatta soltanto di sei episodi, di affrontare temi trasversali e connessi tra di loro come gli strumenti informatici che hanno ormai assunto il ruolo predominante di cui tutti siamo arrivati a essere più o meno consapevoli.
Se infatti il pretesto narrativo serve a introdurre l’argomento dell’esposizione globale a un crollo delle fondamenta digitali che sorreggono i nostri sistemi, gli spunti di riflessione presentati non si limitano all’ambito informatico, arrivando a proporre questioni che, pur di natura più conosciuta e studiata, continuano a mettere a repentaglio la struttura del mondo in cui viviamo.
Il rischio di un attacco informatico delle proporzioni mostrate su schermo non è infatti il solo motivo di preoccupazione per i tecnici e per i teorici delle istituzioni, turbati allo stesso modo dalle divisioni sempre più nette e violente che minano le comunità e dall’insidia, strisciante e mai del tutto debellata, di una possibile deriva autoritaria dell’apparato stato-nazione.
La sempre maggiore rilevanza di estremismi che minacciano l’integrità del complesso democratico, alimentati da fomentatori che hanno saputo trovare il proprio habitat naturale nella giungla contemporanea della Rete, viene discussa, in Zero Day, senza fare alcuna distinzione ideologica ed esaminandone gli aspetti più controversi e rilevanti per la stabilità del tessuto sociale e per la violenza incontrollata che potrebbe generare.
Tanto le più concrete e (magari) condivisibili battaglie di giustizia sociale quanto le rivendicazioni di fantomatiche teorie del complotto, infatti, portano con loro il germe di un distaccamento dalle istituzioni o dal nemico designato che porta a muoversi su un confine delicato fatto di depersonalizzazione e demonizzazione di chiunque sia considerato responsabile o complice di misfatti e soprusi che siano reali o soltanto percepiti.
Allo stesso modo, le misure prese dopo l’11 settembre 2001 e a seguito della pandemia di Coronavirus che ha sconvolto il mondo, così come il supporto ricevuto da politiche sempre più intransigenti, hanno imposto un’attenta considerazione riguardo a quello che potrebbe accadere nel caso di un accentramento del potere arbitrario e capace di sfuggire al controllo, soprattutto dopo i decenni che sembrano aver annacquato il ricordo delle grandi dittature novecentesche.
La trattazione di così tanta carne sul fuoco, sebbene estremamente interessante, risulta, purtroppo, soltanto accennata e poco approfondita, al pari delle conseguenze inerenti gli argomenti e relative al racconto del mondo di Zero Day.
Anche alcune scelte narrative sembrano essere state utilizzate soltanto per costruire le basi della trama e poi dimenticate o perse nel prosieguo di una storia che, in alcuni casi, sembra in qualche modo raffazzonata e tirata su in maniera scorbutica.
Alla costruzione di personaggi tridimensionali e ben studiati, si affianca, quindi, la presenza di altri protagonisti della vicenda che servono sembrano soltanto MacGuffin o che vengono abbandonati lasciando interrogativi irrisolti e un senso di incompiutezza.
In generale, però, lo script di Zero Day fa il suo lavoro, dimostrandosi forse non all’altezza della propria ambizione, ma comunque assolutamente godibile e sufficientemente profondo e rispettoso dello spettatore.

Robert De Niro, un ritmo sempre serrato e una regia con il giusto focus
La realizzazione tecnica di Zero Day non fa rimpiangere il lavoro a cui siamo abituati quando si tratti di prodotti destinati al grande schermo, continuando la tendenza positiva che l’avvento delle piattaforme di streaming ha contribuito a costruire.
La regia della Glatter, mai eccessivamente sopra le righe, si fa notare per l’uso di inquadrature e movimenti di camera che hanno il merito di esaltare i fatti raccontati esprimendo con le immagini i turbamenti vissuti in prima persona dai protagonisti e il contesto di ansia e concitazione che permea la narrazione.
Il ritmo tenuto sin dal primo episodio è incalzante e cadenzato per dare l’impressione di essere sempre sul punto di esplodere salvo liberare tutta la propria energia soltanto in un paio di situazioni e nell’enfatico finale.
La fotografia non fa gridare al miracolo e di sicuro non riesce a tenere il passo del lavoro fatto in fase di regia e di montaggio, presentando un aspetto visivo in linea con gli standard televisivi ma privo di una propria personalità che lo faccia spiccare.
Le prestazioni del cast sono di livello, a partire dall’interpretazione di Robert De Niro di un ex presidente stanco e comunque determinato, passando per l’ottima caratterizzazione fatta da Jesse Plemons per il suo Roger Carlosn e fino ad arrivare al determinato e misterioso direttore della CIA portato in scena da Bill Camp.

Zero Day rappresenta una solida aggiunta al catalogo di miniserie di Netflix
In definitiva, Zero Day, per quanto non perfetta e probabilmente non indimenticabile, è una miniserie che merita di essere vista e che si lascia apprezzare in particolare modo dagli amanti dei thriller a tema politico e cospirativo.
La proposizione di tanti temi sensibili e la realizzazione messa in campo con la giusta attenzione tecnica rendono lo show presentato sulla piattaforma di streaming dalla N rossa un ottimo espediente per passare qualche serata davanti alla tv riflettendo sul nostro mondo in continua trasformazione.
Impreziosita dalla presenza di Robert De Niro, l’opera dimostra ancora una volta come stia cambiando il panorama delle produzioni televisive destinate ormai a rivaleggiare a tutti gli effetti con quelle dei lungometraggi e meritevoli di sempre maggiore attenzione.
Voto: 7/10