A metà strada tra la space opera e il film di guerra, Starship Troopers, lungometraggio del 1997 diretto da Paul Verhoeven e tratto dal romanzo Fanteria dello Spazio di Robert A. Heinlein, è un’opera che, al di là della sua vena action, contiene, neanche troppo velatamente, velleità di critica politica e di approfondimento sociale.
Il regista olandese torna infatti, a dieci anni di distanza, a riprendere una strada che aveva già percorso con il suo RoboCop, presentando un Blockbuster dal forte tasso adrenalinico e capace di esprimere un pensiero deciso mettendo in risalto le contraddizioni di quanto portato sullo schermo.
Starship Troopers, in questo senso, spiazza lo spettatore mettendolo di fronte a un racconto a suo modo epico senza mancare di analizzare le controverse e assurde basi ideologiche su cui sono costruite le narrative imperialistiche.
Una guerra da combattere
Johnny Rico è un ragazzo di buona famiglia che fatica ad avere un rendimento scolastico adeguato e che dedica le sue giornate a coltivare il suo rapporto con Carmen e le prestazioni sportive da portare in campo per la squadra della scuola.
Mosso dal sentimento per la ragazza che gli ha preso il cuore, decide di seguire i passi di Carmen e di entrare a far parte delle forze armate, impegnate a combattere una truculenta guerra contro una razza aliena insettoide con cui l’impero terrestre è in conflitto.
La selezione per l’addestramento separa i due giovani mettendoli di fronte a un futuro dalle prospettive completamente diverse e al vero aspetto della loro storia d’amore, mentre la guerra entra sempre più nel vivo chiamando tutti i soldati a un’azione contro il nemico che potrebbe risultare decisiva per quanto riguardi la supremazia bellica.
Starship Troopers nasconde il suo vero intento dietro un velo di adrenalinico intrattenimento
Con Starship Troopers, Paul Verhoeven, guidato dalla sceneggiatura di Edward Neumeier, racconta il grandioso scontro tra l’umanità e gli Aracnidi extraterrestri presentando una società in cui essere parte delle forze armate significa avere accesso a diritti esclusivi e a una considerazione sociale di primo ordine.
L’azione portata in scena, soprattutto nella seconda parte della narrazione, farebbe pensare, probabilmente in modo un po’ superficiale, a un film di guerra dai toni machisti e violenti, impegnato a intrattenere, tra un’esplosione e una battuta a effetto, con scene d’azione splatter e prive di fronzoli.
Attraverso lo studio e la riproposizione sullo schermo di un linguaggio e di una comunicazione fin troppo abusati da certi tipi di governo, infatti, Verhoeven mette lo spettatore di fronte alla realtà di un sistema costruito sulla propaganda e, probabilmente, sulla menzogna, in cui i protagonisti si ritrovano, in modo diverso, a essere vittime e carnefici allo stesso tempo.
L’epicità delle battaglie si contrappone, secondo questa lettura, all’iniqua e insensata violenza perpetrata contro un bersaglio fin troppo facile da odiare in quanto diverso e rivoltante: lo stesso odio per gli insetti giganti che minaccerebbero le sorti della Terra viene alimentato, di fatto, da veri e propri spot pubblicitari che esplicitano un razzismo di facile attecchimento che non cerca neanche di nascondere una presunzione di superiorità intellettuale e morale nei confronti del nemico.
Nel raccontare queste dinamiche, il fulcro del racconto resta sempre la crescita e la sopravvivenza dei protagonisti umani della storia, pronti a fronteggiare le atrocità dello scontro con i mostri alieni e quasi mai dubbiosi rispetto alla legittimità e al senso delle proprie azioni.
In effetti, l’opera non sembra mai parteggiare apertamente per gli insetti, portando il pubblico a temere per le vite dei personaggi principali, in costante pericolo vista la persistenza e la forza delle ostili creature che si trovano di fronte.
Gli stessi messaggi, cosparsi qua e là nella narrazione, utili a comprendere quale possa essere il risultato di una condotta di guerra, sono velati da motti di patriottismo utili a comprendere come un certo tipo di ideologia venga portata avanti e riesca a conquistare un posto al sole.
Per quanto a un occhio attento non possono sfuggire le rappresentazioni delle divise delle divisioni d’élite dell’esercito o le scelte portate avanti dalle stesse per raggiungere i propri scopi militari, ogni riferimento di questo tipo sembra solo accennato e mai davvero approfondito all’interno del registro del film.
La grandezza della satira portata avanti da Verhoeven risiede proprio in questa sua capacità di immedesimarsi nel pensiero di chi, posto in prima linea a combattere per la propria esistenza, non sembrerebbe avere alcuno strumento per comprendere l’ipocrisia e l’ingiustizia che si ritrovi a portare avanti.
Non è un caso, se, come accaduto per Fight Club un paio di anni dopo, l’opera del regista di Basic Instinct fu tacciata, almeno da una parte della critica, di promuovere atteggiamenti al limite del nazismo e, in questo caso, di essere una vera e propria apologia dell’imperialismo.
Sta infatti soltanto alla sensibilità di chi si trovi di fronte allo schermo percepire l’invasività di un sistema mediatico che non si fa scrupoli a usare messaggi populisti e diretti allo stomaco dei destinatari e, di fatto, privi di qualsiasi contenuto razionale atto a giustificare un’invasione come quella narrata.
Così, se RoboCop aveva preconizzato una deriva giustizialista di un comportamento criminoso che avesse i suoi natali nella disgregazione sociale in atto (e poi continuata) nella città di Detroit, Starship Troopers appare, col senno del poi, una riproposizione fin troppo dettagliata di quella che è stata la guerra al terrore portata avanti dagli eserciti di tutto il mondo nei due decenni che hanno seguito l’uscita del film.
Poco sfruttata ma comunque rilevante, è, da questo punto di vista, la figura dei giornalisti inviati al fronte, che, al pari di quanto accade nel recente Civil War, sembrano molto più consapevoli, rispetto alla perentoria voce degli spot propagandistici, di quanto stia accadendo sul campo di battaglia.
Il risultato è un divertente racconto che mette in primo piano la componente d’intrattenimento senza lasciare a bocca asciutta coloro che, in un racconto di fantascienza con risvolti politici, ricerchino un messaggio metaforico su cui riflettere.
Una regia e una sceneggiatura poco valorizzate dal contorno
Dal punto di vista tecnico, Paul Verhoeven non si limita di certo a fare il compitino, impegnandosi nel cercare soluzioni per movimenti di camera non sempre precisi ma che regalano scene spesso riuscite e dal forte impatto, che impreziosiscono la pellicola.
Molto appropriata è anche la colonna sonora, che si fa notare nei momenti più concitati, scandendo il ritmo degli scontri e acuendo il senso di eroicità dei momenti fondamentali delle battaglie in cui si ritrovano invischiati i protagonisti.
Qualcosa di più si sarebbe potuto fare dal punto di vista della fotografia, vista la possibilità, non presa in considerazione, di cambiare completamente tono di colori sfruttando l’espediente del pianeta alieno su cui si svolge gran parte della vicenda.
Anche la performance degli attori, purtroppo, non riserva troppe sorprese positive, per quanto l’evoluzione dei personaggi si sarebbe prestata a un lavoro più complesso e a un risultato meno piatto di quello visto nel montaggio finale.
Un film dedicato agli appassionati di fantascienza
Starship Troopers non è certo un prodotto perfetto: piacevole come film d’azione che vede nelle battaglie contro gli insetti il suo centro di gravità e interessante in quanto piccante satira dell’imperialismo statunitense nella nostra realtà, l’opera di Verhoeven sarebbe potuta essere, con qualche attenzione in più, un vero caposaldo della cinematografia fantascientifica.
Quello di Verhoeven resta comunque un lavoro godibilissimo, in cui la contraddizione viene mostrata senza troppe spiegazioni e in cui si riesce a mantenere una coerenza narrativa senza scadere nella didascalicità tipica di produzioni più contemporanee.
Un film da scoprire e da analizzare con attenzione, che riesce, a nostro avviso in maniera virtuosa, a celare la sua vena dissacratoria dietro una parvenza di serietà che, mai come in questo caso, sembrerebbe far rima con autorialità.
Voto: 7.5/10