Civil War: recensione e analisi dello straordinario racconto di guerra di Alex Garland

Una cruenta guerra civile attanaglia gli Stati Uniti d’America, con un governo ufficiale in bilico e il futuro della nazione sempre più nelle mani di guerriglieri pronti a tutto per assumere il controllo dello stato: questa la premessa da cui parte Civil War, film del 2024 scritto e diretto da Alex Garland e che si propone di analizzare la polarizzazione politica contemporanea attraverso il racconto ambientato in un futuro prossimo dai toni oscuri e distopici.

Il filmmaker britannico presenta una narrazione forte, intensa e coraggiosa, scegliendo, attraverso un punto di vista inedito, di non prendere quasi mai posizione e di lasciare volutamente irrisolte le questioni relative ai motivi che abbiano scatenato il conflitto.

La casa di produzione A24, dal canto suo, dimostra come, per emergere nel panorama contemporaneo della Settima Arte, sia fondamentale saper prendere una direzione precisa, lasciando campo libero agli autori che abbiano da proporre qualcosa di nuovo e discostandosi dai contenuti di un’industria povera di idee e che sembra troppo attenta a non rischiare, preferendo il già visto a quello che potrebbe sembrare un salto nel vuoto.

Accompagnato da una realizzazione tecnica di altissimo livello e da un ottimo lavoro fatto dal cast chiamato in causa, infatti, Garland cerca di inquadrare i pericoli che minacciano le democrazie di tutto il mondo utilizzando l’espediente delle vicende legate a un gruppo di giornalisti per portare in scena anche l’aspetto umano e le contraddizioni insite nel lavoro di reportage fatto dalla stampa.

Civil War
Alex Garland
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In viaggio attraverso un’America divisa

All’apice del conflitto civile che sta dividendo gli USA Lee e Joel, reporter sempre in prima linea, si preparano a un lungo e pericoloso viaggio verso Washington DC, per tentare di ottenere dichiarazioni e foto del presidente prima che la capitale venga conquistata dalla coalizione delle forze ribelli guidata dagli stati della California e del Texas.

Alla coppia si aggiungono anche, tra dubbi e opinioni contrastanti, Sammy, veterano del campo, e Jessie, giovanissima aspirante fotografa salvata da Lee dagli effetti di un’esplosione durante un attentato a seguito di scontri con le forze dell’ordine.

Il cammino per raggiungere la capitale metterà il gruppo alla prova dal punto di vista professionale e personale costringendo ognuno a riflettere sulla propria vita, sul contesto del conflitto e sulle implicazioni legate al lavoro dell’inviato di guerra.

Civil War
Alex Garland
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Un road movie dalle molteplici chiavi di lettura

Civil War è un film complesso e stimolante, che merita di essere analizzato rispettando e considerando tutti i temi affrontati da uno script che si sforza di rimanere onesto con lo spettatore costringendolo a riflettere tanto su questioni politiche e sociali quanto su quelle relative alla deontologia professionale o alla disillusione rispetto al ruolo di testimone super partes.

Alex Garland si dimostra, in questo senso, un narratore dotato di grande spirito critico e capace di delineare i contorni dei personaggi senza la necessità di approfondirne il passato o di prendere per mano il pubblico in maniera artificiosa, riuscendo comunque a farne intuire motivazioni, debolezze, traumi e paure e rendendoli affascinanti, credibili e assolutamente vivi.

Perché i personaggi della avventura raccontata dallo sceneggiatore nato a Londra, sono il vero fulcro di una vicenda che li costringerà a crescere e a trasformarsi, chilometro d’asfalto dopo chilometro, scontro dopo scontro e tra una foto e quella successiva.

La protagonista assoluta della narrazione è la Lee Smith interpretata da una bravissima Kirsten Dunst e portata dal suo primo incontro con la giovane Jessie a ripensare alla sua vita passata, a tutte le sue esperienze e al cinismo con cui ha assistito a ogni genere di nefandezza e di violenza.

Il senso di protezione nei confronti della ragazzina si esplicita in comportamenti dal sapore materno e nella considerazione del riflesso di se stessa che il personaggio di Cailee Spaeny le sembra rappresentare.

Lo sviluppo di Lee passa anche da una presa di coscienza che riuscirà ad avere la meglio sulla sua freddezza e da un nuovo senso di rispetto per i propri sentimenti, sensazioni chiarite, in un fugace momento, dalla scelta di cancellare dalla propria reflex digitale una precisa foto in particolare.

Jessie si troverà ad affrontare il percorso inverso della sua maestra grazie alla scoperta di emozioni nuove e adrenaliniche e a un entusiasmo che non si lascia scalfire neanche dall’imponderabile, dal pericolo o dalla tragedia e che vacilla soltanto durante l’incontro con due coetanee pronte a dare il proprio contributo in una maniera del tutto diversa dalla sua.

Il passaggio di testimone dall’una all’altra, per una volta, viene introdotto senza una sottolineatura di differenze e di contrasti generazionali, che passano in secondo piano di fronte a una passione e a un’attitudine che avvicinano e costruiscono ponti che diventano legami indissolubili.

Joel e Sammy, più sullo sfondo, stanno, in una certa misura, nel mezzo: il giovane cronista spregiudicato e a tratti inconsapevole e il navigato giornalista che non si stupisce più di nulla, giudizioso, pronto a ogni evenienza e a elargire una parola di conforto ai suoi compagni.

A portare avanti l’evoluzione dei personaggi è, chiaramente, il loro modo di vivere la professione di reporter, vivisezionata per quanto riguardi le difficoltà e le controverse contraddizioni etiche che, necessariamente, porta con sé: il dilemma morale che affligge Lee, l’indurimento della corazza di Jessie, la pacata consapevolezza di Sammy e la capacità di adattamento di Joel sono utili a Garland per raccontare uno stile di vita difficile da comprendere e meritevole di intense riflessioni personali.

In Civil War, I giornalisti passano dall’essere visitatori e narratori alieni del conflitto, quasi lontani da tutto, fino a diventarne parte integrante, forse motore immobile e inconsapevole di una situazione sconvolgente e costruita sulla freddezza dei rapporti tipica di un reportage.

 Allo stesso modo, la discussione politica, per quanto messa, almeno all’apparenza, soltanto ai margini della storia, dimostra tutta la sua potenza nella caratterizzazione dei combattenti ritratti: la polarizzazione estrema e la disumanizzazione del nemico, fanno il paio con la possibilità di sfogare  frustrazioni striscianti e portate avanti sottopelle a corrodere gli animi.

Le divisioni, esplicitate nel dettaglio soltanto in un breve ma intenso momento del lungometraggio, sono quelle che, come ha ribadito Garland, sembrano appartenere a tutto il mondo e non soltanto all’ambito statunitense, al pari degli errori portati avanti dall’unico politico che viene presentato.

In effetti, non sembra esserci alcuna possibile salvezza nell’esito finale dello scontro tra le forze in conflitto, così come non ci sono zone libere dalla guerra, soprattutto quando la guerra si basi su fondamenta ideologiche distorte e da più parti strumentalizzate.

L’impressione è che il confine tra la nostra realtà e quella immaginata in Civil War sia talmente labile da risultare quasi invisibile e da permettere allo spettatore di accettare, senza porsi troppe domande, cosa stia accadendo, percependolo come un dato di fatto plausibile e fin troppo intelligibile.

Civil War: o di quando le suggestioni visive incontrano una sceneggiatura coraggiosa e ben scritta

Dal punto di vista stilistico, Garland gestisce alla perfezione il ritmo di un film che alterna momenti ipercinetici a situazioni di stasi apparente dalla medesima forza espressiva: il road movie che ne esce fuori è un’opera straordinariamente intensa, che mantiene sempre coinvolto il pubblico in una montagna russa che pare quasi intenzionata a spegnere le emozioni, desensibilizzando lo spettatore per poi  colpirlo senza pietà.

Gli ampi e lunghi campi utilizzati dal regista, eccezionali dal punto di vista visivo, servono a ricordare l’insignificante condizione del singolo e vengono contrapposti ai piani più ravvicinati e all’attenzione sui dettagli delle scene più concitate, viste quasi dal punto di vista dei personaggi e in un qualche modo tronche.

La suggestione delle macchine fotografiche che scattano all’unisono con i colpi dei fucili e che vengono maneggiate e sostituite durante le incursioni come le armi dei militari, viene portata avanti anche nel racconto degli equilibri di un potere percepito o effettivo capace di cambiare le carte in tavola.

Esempi perfetti di questo codice che permea Civil War sono le scene del benzinaio, della fossa comune e del momento che precede il finale, in un’altalena straniante e comprensibile soltanto se si è pronti ad analizzare l’influenza del sistema mediatico e, allo stesso tempo il rischio che si correrebbe nel momento in cui tale influenza, per qualsiasi motivo, dovesse scomparire improvvisamente.

La fotografia sfrutta colori caldi e un marcato contrasto (che perde di intensità, non a caso, soltanto in un paio di momenti) per dare spessore alle immagini, ricordando quasi atmosfere da videogioco, certamente non casuali vista anche l’eccentricità dell’aspetto di molti combattenti e alcune scelte cromatiche, dal senso evidentemente provocatorio e ossimorico rispetto ai temi trattati.

Nonostante delle piccole sbavature dal punto di vista degli effetti visivi, che sporcano almeno qualche scena, l’effetto complessivo è senza dubbio riuscito e spettacolare, adatto al contesto narrato e caratterizzante di un prodotto ricco di personalità.

Anche la colonna sonora di Civil War risulta azzeccata e mai banale, accompagnando la narrazione in un perfetto equilibrio tra sottofondo e motore trainante delle immagini portate sullo schermo, in una coinvolgente ballata che mixa emozioni e sensazioni in un contrasto dal sapore malinconico.

Infine, la performance attoriale è più che adeguata al tono e al livello del film, con un grande lavoro di tutto il cast, guidato in particolare da una Kirsten Dunst in stato di grazia e aiutato da una scrittura che mette in mano agli interpreti la rappresentazione dei personaggi.

Civil War
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Civil War è un’opera fondamentale per riflettere sul nostro presente e sul futuro che intendiamo costruire

Civil War non è soltanto uno dei migliori film del 2024, ma può essere considerato come una di quelle opere che dovrebbero costringerci, come spettatori, a riflettere sulla condizione della nostra contemporaneità e sui pericoli legati a una radicalizzazione del pensiero e dei rapporti sociali.

Un prodotto intenso e coinvolgente, realizzato in maniera impeccabile e tanto imparziale nel suo racconto da lasciare addosso un senso di ambiguità e di incertezza dalla prima scena fino alla soluzione per un finale forse un po’ scontato, ma comunque potentissimo.

Alex Garland, anche grazie al suo punto di vista da esterno, ha ritratto un’America divisa che fa paura per le sue spaccature, ricordandoci quanto possa essere facile oltrepassare un confine soltanto all’apparenza solido e invalicabile e come il punto di non ritorno sia rappresentato dalla nostra capacità di continuare a vedere ancora nell’altro un essere umano degno di empatia e considerazione.

Voto: 8.5/10

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2 commenti su “Civil War: recensione e analisi dello straordinario racconto di guerra di Alex Garland”

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