Il Nosferatu di Robert Eggers è finalmente arrivato anche nelle sale italiane, inaugurando il 2025  con la riproposizione contemporanea di un classico del cinema già declinato nei due capolavori di Murnau e Herzog e riproponendo la storia di vampiri più influente e famosa di tutti i tempi attraverso il punto di vista, sempre originale, del filmmaker newyorkese.

Eggers, d’altronde, è considerato, a giusta ragione, uno dei talenti del cinema, e in particolare del genere horror, più interessanti dell’ultimo decennio, grazie a una ricerca stilistica impeccabile e al tono da horror maturo che riesce a imprimere a ogni sua opera.

Dall’esordio con The VVitch, infatti, il regista ha saputo dare nuova linfa a un filone che troppo spesso si è accontentato di essere etichettato quasi come arte di serie b, senza neanche provare a spingersi oltre i cliché e gli espedienti tipici che, in un modo o nell’altro, sembra possano continuare a funzionare, almeno a un livello meramente economico.

La missione, in questo caso, era sicuramente di quelle più complicate: per prima cosa per i paragoni inevitabili con il film del 1922 e con quello del 1979, quindi per le altissime aspettative del pubblico e infine per la natura stessa di una storia tanto semplice nella sua trama quanto complessa da afferrare e comprendere nella nostra contemporaneità.

Dopo aver ripassato la storia del Conte Orlok, il vampiro tratto dal Dracula di Bram Stoker che infesta la narrazione del film prodotto da Focus Features, è giunto il momento di tornare nella città fittizia di Wisborg per analizzare e cercare di comprendere questo nuovo incubo gotico, di certo non perfetto, ma sicuramente degno d’attenzione.

Nosferatu
Robert Eggers

La minaccia di un terribile mostro

Nella città di Wisborg, in Germania, Thomas e Ellen Hutter, da poco convolati a nozze, devono affrontare una breve separazione a causa di un viaggio di lavoro che vedrà il giovane sposo recarsi fino in Transilvania per concludere un affare immobiliare con un vecchio Conte deciso a trasferirsi.

La salute mentale della donna sarà messa a dura prova da questo allontanamento mentre il marito dovrà presto confrontarsi con la vera natura del suo cliente, che si rivela essere un non morto pronto a scatenare tutto il suo potere  sul borgo teutonico.

Tra inquietanti rivelazioni e sconvolgenti terrori, i due si ritroveranno, aiutati da un piccolo gruppo di conoscenti e amici, ad affrontare il male impersonificato, per liberare la propria anima e salvare la città da un pericolo venuto da lontano e mai conosciuto prima.

Nosferatu e il vampiro tenuto sotto il tappeto

Il Nosferatu di Eggers si apre con un flashback relativo a Ellen e che servirà da preludio a tutto quello che sarà il contesto di una vicenda che vede al centro del racconto la condizione della ragazza, vero punto focale della riflessione dell’autore.

Se il film di Murnau si concentrava sull’arrivo del Conte Orlok come portatore di malattie temutissime, in particolare della peste, in questo secondo remake il vampiro diventa una metafora della malattia mentale, dell’ossessione e del senso di colpa, con il personaggio interpretato da Bill Skarsgård messo quasi in secondo piano rispetto ai turbamenti che provoca alle sue vittime.

In questo senso, Knock, il datore di lavoro di Thomas, si ritroverà preda di un’indicibile e perversa follia mentre Ellen dovrà fare fronte a una debilitante depressione e alla convinzione di essere la causa di tutto il male che si sta liberando sulla sua vita e su quella dei suoi cari, diventando portatrice di una sorta di epidemia ancora più impossibile da sconfiggere o limitare.

Una malattia che, nella visione di Eggers, sa diffondersi in modo subdolo e inafferrabile e che può essere fermata solo attraverso una piena presa di coscienza e un’accettazione dolorosa ma risolutiva, sintomo di coraggio e consapevolezza prima ancora che di sacrificio.

Come nell’opera del 1922, Ellen è l’eroina capace di fermare il mostro, che, questa volta, è travestito dalla sensazione di inadeguatezza del personaggio di Lily-Rose Depp di fronte alle emozioni che prova o ha provato nei confronti del mondo e riguardo la propria sessualità.

La morte di Orlok, secondo questa lettura, rappresenterebbe, prima ancora che la fine della minaccia sulla città di Wisborg, la fine di un condizionamento e di un pregiudizio che diventa autoinflitto e capace di divorare l’anima e il corpo di chi ne sia vittima.

Nosferatu
Robert Eggers

Il cinema che si trasforma in un dipinto in movimento

Dal punto di vista tecnico, la sceneggiatura di Nosferatu risulta essere affetta da un ritmo forse eccessivamente lento, che limita la forza del racconto perdendosi nell’approfondimento di personaggi e situazioni che quasi distolgono dalla vicenda principale.

Allo stesso modo, come già detto, la scelta di lasciare ai margini il vampiro che dà il titolo al film, toglie tantissimo sul piano della suggestione e del senso di orrore puro che il putrescente Conte porta con sé a ogni rantolosa apparizione.

Perché la caratterizzazione della creatura, sfuggente, quasi indecifrabile e tanto sporca da provocare disgusto, sarebbe assolutamente riuscita, sia per il suo aspetto, più umano di quello già visto negli altri Nosferatu, che per i suoi dettagli che lo connotano, a partire dal respiro pesante, fino ai ringhi animaleschi e ai movimenti bruschi e quasi bestiali.

La potenza visiva del lavoro di Eggers non si può invece mettere in discussione in alcun modo: ogni piano e ogni campo sono paragonabili a dipinti capaci di esprimere, anche senza l’uso del dialogo, tutto quello che il regista vuole raccontare, mettendo in soggezione lo spettatore e costruendo un’atmosfera densa e opprimente.

I movimenti di camera, con la loro ripetitività, segnano lo stile di un’opera impreziosita da una fotografia satura e convincente e da una colonna sonora che riempie le immagini e sottolinea la gravità di ogni momento senza avere bisogno di prendere il proscenio.

Per quanto riguardi le interpretazioni, oltre a quella di un poco utilizzato Skarsgård, meritano un plauso quelle della Depp, di Simon McBurney nel ruolo di Knock e di Willem Dafoe nella parte del professore Albin Eberhart Von Franz: se McBurney, infatti, ruba la scena ogni volta che viene chiamato in causa, lo studio sull’eccentrico studioso fatto dall’interprete di The Lighthouse riesce a esprimere una forte personalità anche in assenza dell’apprezzato lavoro fatto sull’accento e che purtroppo si perde nella versione doppiata.

Una nuova strada per il genere horror

Il Nosferatu di Robert Eggers è, in conclusione, un horror atipico, che si propone di mettere a disagio il pubblico immergendolo in un’ambientazione cupa e apparentemente priva di speranza e che, pur concedendosi un paio di jumpscare, sembra rifiutare gli schemi classici, arrivando fino a nascondere il nucleo del terrore.

Un film che, pur non esprimendo appieno il potenziale del soggetto, ha saputo coniugarlo in una nuova chiave in maniera innovativa, mantenendo i toni espressionisti del capolavoro del regista e sceneggiatore tedesco che ha dato vita al Conte Orlok.

Il risultato è un’opera personale e imperfetta, infarcita di un’autorialità finalmente sempre più presente in un genere che continua a dare segni di vita grazie al prezioso lavoro di autori come Ari Aster, Jordan Peele e lo stesso Robert Eggers.

Voto: 7.5