Un thriller dai tratti macabri e drammatici e con un pizzico d’ironia tipica dei prodotti della Gran Bretagna: Dept. Q, serie distribuita da Netflix nel 2025, ci porta in un’Edimburgo dal clima mutevole per presentare una vicenda poliziesca intrigante e ricca di elementi caratteristici e di colpi di scena.
La prima stagione dello show si compone di 9 episodi della durata di circa un’ora e ci presenta, prima ancora che il nuovo dipartimento della polizia cittadina dedicato a risolvere i casi rimasti irrisolti, i tanti personaggi che compongono l’opera adattata dalla serie di romanzi dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen.
Dopo aver proposto la nostra recensione di The Strays, pellicola che ha segnato l’esordio alla regia di Nathaniel Martello-White, andiamo dunque a parlare di Dept. Q e dei suoi crimini ancora privi di un colpevole accertato.

La trama di Dept. Q
Vittima di un misterioso agguato durante un sopralluogo, il detective della polizia di Edimburgo, Carl Morck, viene colpito al collo dallo stesso proiettile che ha causato una paralisi al suo partner e amico di lunga data, James Hardy.
Tornato sul posto di lavoro terminata la convalescenza, a Carl viene affidata la nuova sezione nata in seno al suo distretto e destinata a occuparsi dei vecchi fascicoli insoluti, con la sua superiore Moira intenzionata più che altro a riuscire a relegare l’uomo lontano dai colleghi che ne mal digeriscono il carattere burbero.
Tra i tanti casi archiviati uno in particolare desta l’interesse del detective e di Akram, suo nuovo aiutante dall’enigmatico passato: la nuova e improvvisata squadra in formazione si dovrà confrontare con la scomparsa, avvenuta quattro anni prima, di una rampante avvocata di cui si erano perse le traccia in circostanze più che sospette.
Tra drammi personali e intrighi familiari e di potere, i membri del gruppo cercheranno di fare luce sulla vicenda, mettendo prima di tutto in dubbio il fatto che la vittima sia morta e facendo di tutto per sbrogliare una matassa incredibilmente intricata.

Vi presentiamo Carl Morck e la sua banda
Dept. Q. fonda la sua intera narrazione sulla costruzione e l’introduzione dei suoi tanti personaggi ricchi di peculiarità e di stranezze ma che tra di loro hanno in comune la caratteristica di essere degli outsider sottovalutati e tormentati.
Accanto al certamente poco affabile protagonista, si riunisce, nel corso degli episodi, un piccolo branco che sembra essere messo su a forza e che appare quasi senza speranza di fronte all’arduo compito di seguire tracce che si sono fatte, nel corso degli anni, sempre più evanescenti.
A partire da Akram, passando per Rose e per la dottoressa Rachel e arrivando fino al coinquilino di Carl e al figliastro del detective, ogni comprimario della storia riesce a trovare un suo spazio preciso e viene descritto con minuzia di particolari riguardanti le proprie convinzioni, i propri problemi e il proprio modo di guardare alla vita.
Particolarmente interessante e riuscita è la caratterizzazione di Carl, che, lungi dall’essere un super detective dalle mille intuizioni, è rappresentato come un uomo dalle enormi difficoltà nel gestire le proprie emozioni e che, nonostante le diffidenze iniziali dovute anche a un malcelato senso di superiorità, imparerà a fidarsi dei propri compagni e a prendere spunto dal loro lavoro.
Il mistero da risolvere è messo in scena in maniera intelligente per quanto forse un po’ troppo arzigogolato nella sua fase centrale, quando le piste da seguire cominciano a sovrapporsi rischiando di creare un po’ di confusione per lo spettatore.
A conti fatti, è vero, quasi tutto sembra tornare e ogni arco narrativo finisce per avere il suo epilogo più o meno importante nel complesso della storia autoconclusiva e che allo stesso tempo prepari il terreno per un secondo capitolo con una nuova indagine da portare a termine.
Anche per quanto riguardi i temi trattati la carne sulla brace risulta essere abbondante e soddisfacente, con il focus puntato sulla salute mentale e sui rapporti interpersonali soprattutto in ambito genitoriale e lavorativo.

Gradazioni di colore e flashback
Dal punto di vista tecnico, Dept. Q si distingue per l’utilizzo massivo e sempre convincente del flashback come strumento narrativo, tanto sfruttare sapientemente fin dal suo primo episodio tale espediente in modo anche abbastanza originale.
Questo continuo tornare indietro a livello cronologico permette infatti una struttura in grado di mettere il pubblico a conoscenza dei fatti essenziali in modo concreto mano a mano che prove, indizi e supposizioni si fanno strada nelle menti degli agenti di polizia.
Allo stesso modo, preminente per quanto riguardi la fotografia risulta essere la scelta cromatica che sembra segnare una linea di demarcazione tra situazioni e ambienti sfruttando i colori pastello in contrapposizione al grigio della città.
Ad accompagnare un’ottima prova da parte di tutto il cast, che riesce a risultare credibile anche nelle caratterizzazioni più sopra le righe, c’è inoltre una colonna sonora solida e che, senza l’ambizione di diventare protagonista della scena, contribuisce a sottolineare il tono dei momenti.

L’inizio di qualcosa?
La prima stagione di Dept. Q pone le basi per un ritorno della serie e per farle ambire di entrare in quel novero di show crime capaci di appassionare gli amanti del genere sulle diverse piattaforme di streaming.
Il lavoro fatto per far diventare familiare i protagonisti e per tirare su le fondamenta di un mistero ancora più grande da scoprire e che sappia regalare una continuità tra i diversi capitoli che potrebbero essere eventualmente prodotti lasciano con il desiderio di potere avere un’altra fetta di torta.
La serie nel suo complesso funziona e scorre via con una certa facilità nonostante la mancanza di azione e un ritmo di base tenuto sempre sotto controllo: l’operazione portata avanti da Scott Frank e Chandni Lakhani, in questo senso, è certamente destinata a un pubblico che sappia apprezzare il genere thriller e che non si lasci scoraggiare da qualche intreccio un po’ forzato e da una narrazione riflessiva.
Voto: 7/10