Il mare della Polinesia francese, un gruppo di amiche surfer e un’isola misteriosa da esplorare alla ricerca dell’onda perfetta: queste le premesse di Pacific Fear, film del 2024 co-scritto e diretto da Jacques Kluger e che prova a riportare sullo schermo il classico schema dello slasher ambientato in luoghi isolati e abitato da qualcuno tutt’altro che ospitale.
La produzione Blue Swan presenta, nei suoi 90 minuti di girato, una serie di cliché e di situazioni in grado di far sorridere i cinefili ai tanti richiami ma poi abbandonati in quello che risulta essere più che altro un coacervo di tante idee mai pienamente sviluppate.
Dopo aver condiviso la nostra recensione di Lake Bodom, slasher finlandese dalla particolare struttura narrativa, andiamo dunque a fornire la nostra opinione su Pacific Fear e sul suo particolare approccio a un genere certamente inflazionato ma in grado di rinascere dalle proprie ceneri a intervalli più o meno regolari.

La trama di Pacific Fear
Sarah, ex surfer che, a seguito di un grave incidente, è diventata fotografa del settore, ha organizzato una gita con le amiche su un’isola remota che, a quanto ha sentito, sa regalare delle onde meritevoli di essere cavalcate.
Giunte sul luogo, le ragazze si incamminano per raggiungere la spiaggia e, attraversando una fitta vegetazione, si imbattono in manufatti che indicano come l’isola, fino a quel momento apparsa deserta, sia in realtà abitata.
L’inizio della loro avventura in mare si rivelerà il preludio a un incubo cruento e inimmaginabile a cui dovranno cercare di sopravvivere sfruttando ogni risorsa e facendo riferimento alla propria forza d’animo mentre il paradiso si mostrerà per l’inferno che è in realtà.

Tanta confusione e qualche errore di distrazione
Pacific Fear inizia avvisando lo spettatore degli esperimenti nucleari svolti dal governo francese nei Territori d’Oltremare durante la seconda metà dello scorso secolo, ponendo le basi per un certo tipo di narrazione e di svolgimento suscettibile di deviazioni nel campo dei monster movie o del topos della popolazione deformata e mutata dalle radiazioni e divenuta incredibilmente ostile e minacciosa.
A questo primo possibile bivio, però, Kluger decide di aggiungere ulteriori biforcazioni che, per quanto potenzialmente interessanti, vengono sviluppate poco e male in favore della necessità di spingere sul pedale dell’azione e del torture porn, tra l’altro in maniera non convincente e mai davvero esplicita.
Allo stesso modo, i personaggi presentati (e che in un prodotto di questo tipo devono per forza di cose risultare accattivanti) non riescono ad avere lo spessore necessario tanto dal punto di vista estetico quanto da quello caratteriale, risultando soltanto come delle copie sbiadite e contestualizzate male di qualcosa di già visto.
L’unica possibile svolta davvero originale si concretizza in un’idea soltanto accennata e mai approfondita, che rimane soltanto una suggestione che si perde tra i troppi spunti di una pellicola che in un’ora e mezza tenta, senza troppa fortuna, di reinventarsi in modo sbrigativo e fumoso.
Come detto, all’interno di questo calderone gli amanti del cinema potranno trovare riferimenti e rimandi neanche troppo velati a serie slasher di successo, come Wrong Turn, al controverso e poco apprezzato The Green Inferno di Eli Roth e persino a momenti di cinema e riflessione più alti nel tentativo di mettere sul piatto della discussione l’ambito della fragilità psicologica all’interno del mondo militare.
Nonostante i tentativi, però, Pacific Fear non riesce a centrare l’obiettivo e fatica a rimanere credibile e coerente con se stesso, risultando alla fine inconcludente e persino poco centrato su quello che dovrebbe essere il proprio core.

Una buona regia condita da errori grossolani
Per quanto riguardi l’aspetto tecnico, il film di Kluger non rende merito a una regia che fa il suo dovere soprattutto a causa dei tanti piccoli errori di continuità di cui è costellato e della poca attenzione con cui sono per esempio realizzati i costumi, quasi dozzinali nella concezione.
Le ambientazioni, bellissime, non sono abbastanza per passare sopra a una prova mediocre e facilmente dimenticabile da parte di un cast poco ispirato e legnoso nel portare sullo schermo le emozioni dei personaggi.
Dal punto di vista del mero divertimento, Pacific Fear fa il compitino riuscendo a presentare un paio di sequenze godibili e poco altro, e non riuscendo a tirare fuori alcuna trovata degna di nota e positivamente memorabile.

Un’occasione sprecata?
In conclusione, l’opera del regista belga, pur partendo da presupposti già visti ma comunque assolutamente sviluppabili nell’ambito di questa sottocategoria horror, non riesce a essere incisivo a causa di troppi piccoli e grandi difetti di concetto e di realizzazione.
Quello che rimane è uno slasher anonimo che scorre per tutta la durata del montaggio finale senza riuscire a colpire nel segno e barcollando da una parte all’altra come un pugile confuso su un ring che sembri quasi non appartenergli.
Pacific Fear è un film che ci sentiamo di consigliare soltanto agli appassionati del genere che non abbiano troppe pretese e più che altro come un b-movie da collezionare nel novero dei prodotti poco riusciti e al limite del trash.
Voto: 4.5/10
