Boneyard – Il Caso Oscuro è un thriller del 2024 diretto da Asif Akbar e ispirato alla tragica e terrificante storia vera degli omicidi di West Mesa e delle 11 vittime rinvenute sepolte in un campo sterrato della città di Albuquerque.
Il film, che vede nel cast Mel Gibson, 50 Cent (al secolo Curtis Jackson), Brian Van Holt e Nora Zehetner si propone di ricostruire le prime fasi delle indagini da parte della polizia e dell’FBI atte a identificare il colpevole di una strage tanto efferata.
Dopo aver proposto la nostra recensione di La Donna della Cabina Numero 10, andiamo dunque ad analizzare il lungometraggio distribuito da Lionsgate per analizzare pregi e difetti di una messa in scena riuscita solo in parte ma comunque a suo modo affascinante.

La trama di Boneyard – Il Caso Oscuro
Quando i cadaveri di diverse donne vengono ritrovati casualmente da una donna a passeggio con il proprio cane, la polizia di Albuquerque è chiamata al massimo sforzo per risolvere il caso nel minor tempo possibile.
L’ombra di un serial killer e la corruzione dilagante tra gli organi della sicurezza della città impongono segretezza e alimentano una tensione sempre crescente fra gli stessi detective che finiranno per essere affiancati da un profiler dell’FBI dal carattere particolare e dalle idee chiare.
Facendosi largo nel torbido del mondo notturno e criminale del Nuovo Messico, i protagonisti cercheranno di venire a capo di un mistero che segnerà le loro vite tanto a livello professionale quanto sul piano personale.

Uno script confusionario e poco preciso
Il tentativo di raccontare i concitati giorni successivi al rinvenimento dei cadaveri nella zona di West Mesa si scontra quasi da subito e sempre di più col prosieguo del girato, con una sceneggiatura che sembra incapace di mettere insieme i diversi pezzi del puzzle in maniera coerente e semplice da seguire e che lavora con flashback e cambi di prospettiva non sempre curati con la massima attenzione.
Il risultato finale si concretizza in un’opera che, pur stuzzicando la curiosità dello spettatore, rischia in più momenti di confonderlo buttando troppa carne sul fuoco senza riuscire a definire il tempo presente di una narrazione inutilmente ed eccessivamente labirintica.
Se il tema della corruzione all’interno della polizia viene affrontato in maniera solida, gli argomenti delle condizioni delle ragazze che lavorano nelle notti di Albuquerque e dell’indifferenza del resto della società, vengono soltanto accennati senza energia, lasciando il prodotto tronco di una discussione che avrebbe potuto rappresentare l’intero fulcro della storia.
La vicenda, d’altronde, sa essere suggestiva per atmosfera e fatti narrati e sceneggiatori e regista sono particolarmente bravi a non scadere nel morboso, mantenendosi in questo senso sempre rispettosi delle vittime e della tragedia e presentando, almeno in modo parziale, le tante sfaccettature che hanno caratterizzato il caso e le indagini.

Tra documentario e ricostruzione con un Mel Gibson convincente
Anche per quanto riguardi il concetto dietro regia e montaggio, Boneyard risulta confuso e incongruente nelle scelte fatte nel corso del lungometraggio: se prese singolarmente, sia l’idea di lavorare con movimenti di camera e zoom che facciano somigliare Boneyard a una specie di documentario sia quella già accennata dell’utilizzo del flashback sembrerebbero azzeccate e utili al racconto, l’assenza di una precisa scelta stilistica finisce per inficiare sull’interezza di un’opera che risulta, ancora una volta, poco coerente e troppo frammentata.
Decisamente più efficace la scelta di una fotografia dai colori e dalle luci tenui e che contribuisce a costruire un’atmosfera che avrebbe meritato più risonanza e su cui si sarebbe potuto fare più affidamento.
Abbastanza buono il lavoro del cast e, in particolare di Mel Gibson, che però ha troppo poco spazio sullo schermo per poter davvero risollevare le sorti di un film che fa davvero poco per riuscire in qualche modo a emergere tra i tanti dello stesso genere a cui l’industria sta dando vita.

Un film che galleggia tra mediocrità e sufficienza
Boneyard – Il Caso Oscuro, pur non essendo un completo disastro, è un prodotto che galleggia sempre tra la mediocrità e la sufficienza a dispetto di una storia che, trattata con più attenzione, avrebbe potuto generare un interesse molto più importante.
Quello che resta è un lungometraggio che ha il merito di rimanere rispettoso della vicenda e che prova a sperimentare nello stile e a restare fedele ai fatti anche a costo di risultare un po’ meno intrigante.
Un’opera, quella di Asif Akbar, che rischia di cadere presto nel dimenticatoio, proprio come succede, tristemente, alle tante vittime di soprusi e violenze che appartengano a un modo ancora oggi considerato troppo spesso di serie b.
Voto: 5.5/10