A House of Dynamite: spiegazione del finale e analisi dei temi del thriller disponibile su Netflix

Con A House of Dynamite Noah Oppenheim e Kathryn Bigelow esplorano le tensioni e le difficoltà che il più alto quadro dirigenziale di una superpotenza militare come quella degli Stati Uniti d’America sarebbe costretta ad affontare nel caso di un eventuale attacco, improvviso e inatteso, al territorio nazionale.

Ricostruendo la vicenda da diversi punti di vista, il film prodotto da Netflix, si concentra sugli aspetti burocratici, strategici e personali del trovarsi nella posizione di dover effettuare una scelta drastica e eticamente probante in un lasso di tempo limitato e senza la possibilità di avere un quadro completo della situazione.

Dopo aver condiviso la nostra recensione di Zero Day, serie tv che mette in scena la risposta politica a un attacco informatico su larga scala e avvisando degli spoiler presenti nell’articolo, andiamo dunque a proporre la nostra spiegazione del finale di A House of Dynamite e l’analisi dei temi dell’intensa opera distribuita sulla piattaforma dalla N rossa.

A House of Dynamite
Spiegazione finale
Analisi
Netflix
Spiegazione

Spiegazione del finale di A House of Dynamite

La premessa che dà il via alla narrazione di A House of Dyamite vede i diversi organi di controllo adibiti alla verifica della sicurezza aerea avvistare un missile atomico di origine incerta (probabilmente proveniente dalla Corea del Nord) diretto sul suo americano.

Dal momento dell’accertamento che il lancio non sia parte di un test, tutti gli enti predisposti a prendere le possibili contromisure e a prepararsi a una risposta, cominciano a lavorare in modo congiunto per capire quale possa essere la scelta adeguata, vagliando le possibili conseguenze.

Mentre il botta e risposta utile a scandagliare ogni opzione va avanti in attesa della decisione del presidente, la gravità della vicenda comincia a sconvolgere la coscienza e l’esistenza dei protagonisti del racconto culminando con il suicidio del segretario della difesa che, dopo aver provato ad avvisare la figlia dell’impatto imminente sulla città in cui lei vive ed essersi probabilmente reso conto del fatto che tutto sarebbe inutile e che non avrebbe più avuto modo di chiarire con lei il loro rapporto, si lancia dal tetto su cui l’elicottero per portarlo al sicuro lo aspettava.

La terza parte del lungometraggio è dedicata alla narrazione del punto di vista del presidente degli Stati Uniti d’America e alla sua dura acquisizione della consapevolezza che una scelta di tale portata ricada esclusivamente su di lui, a prescindere dalle opinioni, dalle indicazioni e dai consigli di tutto lo staff chiamato in causa.

L’epilogo lascia lo spettatore senza una risposta precisa e con un finale aperto dai risvolti comunque tragici: il presidente, una volta identificatosi per emettere l’ordine, si fa passare il fascicolo con i diversi piani studiati per attivare una reazione e si prepara a comunicare la propria decisione che, probabilmente, si risolverà in un attacco.

Dopo la dissolvenza al nero, ci vengono mostrati i preparativi per condurre chi sia in una certa lista in un bunker antiatomico della Pennsylvania e, nella scena finale, il militare Gonzalez, di stanza a Fort Greely, nella base addetta alla difesa missilistica, guardare verso l’orizzonte con il respiro affannato e visibilmente scosso e preoccupato, conscio com’è di quello che sta per accadere.

A House of Dynamite
Spiegazione finale
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Analisi dei temi presentati in A House of Dynamite

Il film diretto da Kathryn Bigelow mette sul piatto diverse tematiche fondamentali per provare a intavolare un discorso coerente riguardo la geopolitica militare e tutto quello che c’è dietro i meccanismi che si muovono, più o meno congiuntamente, in una situazione d’emergenza.

Prima di tutto ci viene mostrato il lato più umano di militari, politici e assistenti che, al di là del proprio ruolo, hanno famiglie e cari e devono convivere, al pari dei cittadini che in qualche modo rappresentano o tentano di difendere, con piccoli problemi e drammi quotidiani che finiscono per forza di cose per influenzarne il pensiero e la risolutezza.

Ancora più approfondito è l’argomento relativo alle divergenze d’opinione tra i vari organi e persino tra i diversi soggetti all’interno di essi: la formazione e la responsabilità percepita cambia a seconda del ruolo, della personalità e della visione di ognuno.

Se dal punto di vista militare una reazione appare obbligata tanto come dimostrazione della propria forza quanto per evitare di farsi trovare ancora impreparati di fronte a un ulteriore attacco e magari addirittura per prevenirlo, i responsabili civili e lo stesso presidente sembrano molto più restii a scatenare una rappresaglia bellica che condurrebbe a una sicura escalation e che, al di là di tutto, non farebbe altro che portare altra morte e distruzione.

Il punto centrale dell’opera, come si evince anche dal titolo, è però la riflessione sul paradosso della sicurezza che ha portato gli stati a costruire arsenali atomici e a progettare sistemi di difesa e reazione sempre più sofisticati nella speranza e nella convinzione che possano servire da deterrenti per prevenire e scoraggiare attacchi di diverso tipo e che invece portano più verosimilmente a una corsa agli armamenti sempre più esasperata e alla diffidenza nei confronti di vicini di casa che potrebbero rivelarsi pericolosi proprio perché armati.

Il risultato, come esplicitato dal personaggio interpretato da Idris Elba, porta alla condizione di chi decida di abitare in una casa imbottita di esplosivi e pronta a esplodere a ogni evenienza dimentico del fatto che la prima vittima di tale esplosione sarebbe proprio chi ci viva dentro.

Il sottotesto è chiaro: l’uso della forza come risposta all’attacco diventa obbligatorio, nel modello globale contemporaneo (che si è trasformato, col tempo, in una trappola da cui è impossibile fuggire), nonostante la consapevolezza di andare verso la mutua distruzione assicurata.

La discussione di tali argomenti, ricondotti alla nostra epoca e alle tensioni geopolitiche che minacciano di acuirsi a causa di conflitti ideologici rimasti dormienti per decenni, fanno di A House of Dynamite un prodotto artistico estremamente importante per permettere una riflessione cruda ma estremamente lucida sulle conseguenze che le scelte politiche possano causare e, magari, per formare una coscienza in tal senso che provenga dal basso.

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A proposito del finale di A House of Dynamite e dell’avvertimento del film rispetto alla condizione della nostra società globale, vi rimandiamo all’intervista rilasciata dallo sceneggiatore Noah Oppenheim riguardo la verosimiglianza del lungometraggio con la realtà.

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